martedì 26 luglio 2011

Crisi economica per parlamentari e normali cittadini, i risvolti

OFF
Costituzione della Repubblica Italiana, Titolo III – Rapporti economici, articolo 36: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Già. Stante la crisi, o presunta tale, tale diritto può anche venir meno, pur in presenza di un lavoro che, tra alti e bassi, continua.
Di sicuro, il mio parere conterà poco o nulla, però ci terrei a esprimere l’idea che, da un anno ad oggi, ha preso forma e sostanza fra le mie cellule cerebrali. Questa crisi è un pittoresco paravento, che permette a pochi (mi riferisco ai parlamentari, pochi rispetto al numero dei cittadini ma tanti come numero assoluto) di celarsi per evitare noie legali o sindacali cui potrebbero andar incontro se la classe operaia o, più in generale, i cittadini, alzassero di poco la voce per reclamare un diritto palesemente sancito dalla Legge fondamentale dello Stato.
Tant’è, della Costituzione possiamo davvero fare a meno: da quando seguo le vicende politico – istituzionali, cioè da quando posso usufruire pienamente del mio diritto di voto, non rammento un’epoca tanto deleteria e così ricca di spregio nei confronti della Carta Costituzionale. Logico, quindi, che di ciò che è scritto si possa serenamente, secondo loro, fare carta straccia. Loro, un lauto stipendio lo ricevono, per i trasporti e altre amenità non sborsano niente, le case le comprano a prezzi stracciati nelle zone più esclusive, la pensione si ottiene con poco: cosa volete che gli interessi di noi, della difficoltà di pagare le bollette, il mutuo sull’appartamento, le spese dei figli, i pranzi e le cene da mettere insieme?

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